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Capitano, mio capitano…
Ottobre 22, 2018 on 9:13 pm | In Personali, Racconti |“Il suo nome era… Baratta Gino…ma lo chiamavan drago…gli allievi…al bar del Pitentino…dicevan ch’era un mago… era un mago…”
Il pullman, pieno di ragazzi e ragazze che parafrasavano la nota canzone, era simile a mille altri che nelle primavere di oltre cinquant’anni fa, correvano sulle strade delle gite scolastiche.
La meta non era di vitale importanza, il mondo era così grande… noi ragazzi non avevamo mai visto molto, oltre i paesi in cui vivevamo, e tutto era nuovo ed eccitante.
Noi non lo sapevamo, ma avevamo qualcosa in più degli altri: avevamo un insegnante speciale, diverso dagli onesti professori che pure facevano il loro mestiere con dignità; ci era toccato in sorte un “maestro”.
Eravamo ragazzi di campagna, al più figli di commercianti, artigiani, qualcuno era di famiglia ricca, ma non ce ne rendevamo conto.
Io ero orfana di padre e di famiglia povera, dove non c’erano occasioni per stimolare la curiosità e il desiderio di conoscenza; egli ci portò da casa sua una valigia piena di libri che distribuì ad ognuno secondo l’idea che si era fatta di noi e della nostra capacità di comprensione.
Il primo libro che mi diede da leggere fu… La morte nell’anima di Jean Paul Sartre, credo di non averci capito niente.
Altri ne lessi in seguito e non li ricordo tutti, ma negli anni della maturità li ho ricomprati in buona parte, perchè devono aver segnato profondamente la mia giovinezza.
Les fleur du mal, Une saison à l’enfer, Gente di Dublino, Au rébours, e le poesie di Pavese e altri che sarebbe troppo lungo elencare ora sono sugli scaffali e se li guardo comprendo quello che allora mi era sembrato scivolasse su di me senza lasciare il segno.
E quante mattine passate a scrivere, sui quaderni che ancora conservo, appunti dettati con pazienza per integrare i libri di testo che allora come ora non contenevano quello che un vero maestro considerava importante per la nostra cultura.
Conservo poesie di Bellintani, allora sconosciuto:” E allora Cristo salì al Calvario, piangendo, piangendo senza un grido…” e di un poeta ungherese che lui stesso aveva tradotto imparando la lingua per l’occasione, Endre Ady: ”Noi arriviamo sempre troppo tardi, veniamo sempre da troppo lontano…” , e le registrazioni delle prediche di Don Mazzolari, in una piccola parrocchia del mantovano, e le prime basi della psicanalisi, che ci facevano capire quanto c’era sotto la superficie delle nostre coscienze (l’io, l’id, l’inconscio).
A lui devo il ricordo vivissimo dello storico “Galileo” di Bertoldt Brecht al Piccolo Teatro di Milano e La cantatrice calva di Jonesco, recitata da una compagnia mantovana.
Se stessi qui a scavare nella memoria, pian piano affiorerebbe tutto quello che egli ci ha fatto vedere spingendoci ad aprire gli occhi e guardare.
Il ricordo che ho di lui come persona è molto vago: era uno di noi, come i nostri padri.
Credo che fosse un insegnante mandato in periferia per questioni politiche, doveva essere un maestro scomodo.
Tutti i maestri che si elevano al di sopra della normalità sono scomodi: vedendo il film “L’attimo fuggente” ve ne potrete rendere conto. Il ragazzo che sale sul banco e dice a voce alta: “Capitano, mio capitano…” mi fa pensare a lui e risveglia più di ogni altra scena il suo ricordo.
Molti anni dopo scoprii che era morto ancora giovane e che ora a lui è intitolata la Biblioteca di Mantova. http://www.bibliotecabaratta.it/index.php/it/
Alcune poesie
Filippo De Pisis - Autunno
Cadon le foglie gialle del fico
e dal mio cuore partono
vaghi sogni.
L’oro di queste sere
indugia sulle cornici dorate
sulle belle tinte dei quadri.
A mano a mano che
muore l’estate
un’alta pace
queste terre invade
e la mia sete di ieri?
Un’ombra fine è attorno,
ma più lontano
l’infinita sete struggente,
e il richiamo ai noti ardori.
Cadon le foglie gialle dal fico…
E nel mio cuore si fa sera.
Il tempo
Son passati dei giorni,
dei mesi, degli anni.
Tu credi che abbia ormai dimenticato
che il mio cuore sia chiuso
al profumo delle nostre sere.
Ma non è vero!
Basta, vedi, che si levi
dal fondo della strada
una canzoncina mesta,
basta, appena, che tremi una foglia
che passi un’ombra
e riconosco il tuo riso
un po’ amaro
e sento il cuore che trema.
_____
Ho faticosamente recuperato la poesia di Endre Ady, ma a parte i due primi versi, ho cercato di tradurre dall’inglese. Non ho trovato la stessa poesia in lingua magiara
Noi arriviamo sempre troppo tardi
veniamo sempre da troppo lontano
I nostri passi sono sempre stanchi e tristi
noi arriviamo sempre troppo tardi.
Non sappiamo nemmeno come morire in pace.
Se ci appare da lontano la morte
le nostre anime si tuffano in un tam tam di fiamma.
Non sappiamo nemmeno come morire in pace.
Noi arriviamo sempre troppo tardi
Siamo sempre a un soffio dal realizzare un successo
o i nostri sogni, il nostro paradiso o il nostro abbraccio.
Noi arriviamo sempre troppo tardi
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