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Quel che resta di un padre

Ottobre 18, 2018 on 8:44 pm | In Personali, Racconti |

Non ricordo mio padre come persona viva. La sua immagine mi deriva dalle fotografie che tengo in un cassetto: un gruppo familiare in cui sono anch’io, in posa davanti al fotografo, una delle prime foto a colori in cui lui, in canottiera e col cappello che ombreggia il viso, guarda nell’obiettivo di un turista tedesco di passaggio a casa nostra, e una fotocopia di un gruppo di suonatori della Banda di Gonzaga, in cui suonava uno strumento a fiato.

Avevo 12 anni quando una malattia che allora era incurabile se lo porto’ via in un paio di mesi. Allora e per molti anni ancora non ho pensato che la sua mancanza avesse influito tanto sulla mia vita, ma ora so che crescere senza padre lascia nella vita un vuoto che produce guasti senza rimedio.

La sua presenza è legata al mio più antico ricordo; una piccola cioccolata che esce da una tasca: è avvolta in carta gialla e sopra c’è un trenino marrone, con tante ruote. Il calore del corpo l’ha resa un po’ molle e deformata; io la vedo davanti a me e so che me l’ha portata papà ma non lo vedo come persona.

Adesso che ci penso i suoi ricordi sono legati ai piccoli doni che allora un padre contadino poteva fare: dei pezzi di legno di varie forme ricavati dalla legna da ardere che mi servivano per costruire delle casette, delle pecorelle fatte con il tutolo delle pannocchie, nelle caldissime estati in cui si sfogliava il granoturco.

Poi i giorni della malattia, i viaggi in treno fino ad un ospedale lontano a trovare un uomo che non si era mai allontanato dalla sua casa, sperduto nei corridoi di questo luogo tanto triste e anonimo.
E poi l’ultimo ricordo: vedo in una mattina di fine inverno, nell’aria nebbiosa del mattino, una figura grigia seduta su un albero tagliato, con la testa tra le mani. Era tornato per passare gli ultimi giorni nella sua casa.

Ed ora il ricordo più importante, il più vivo e significativo, che sempre ho avuto chiaro nella memoria, come la scena di un film. Qui mio padre è vivo, lo vedo camminare sulla strada che dalla mia casa porta su fino alla strada principale, una strada che da tempo immemorabile porta su al Nord. La strada è alta, perché oltre ci sono i terreni che fanno parte da sempre della golena del Po, e poi c’è il fiume.
Mia madre sulla riva della strada si dispera verso di lui che fermamente prosegue a piedi; c’è con lui una persona sconosciuta, un soldato tedesco in fuga verso il suo paese.
La guerra sta per finire e anche questo padre forse vuol tornare dai suoi figli, dopo la follia che ha travolto il mondo intero, ma i ponti sono distrutti, bisogna trovare un battello che lo aiuti a passare il grande fiume.

Questo è un ricordo che mi ha gratificato molto nella mia giovinezza.
Ero già avanti negli anni quando un giorno mi sono resa conto che questo ricordo è falso, un fantasma della mente: io sono nata due anni dopo la fine della guerra.

Il racconto che mia madre deve avermi fatto tante volte ha sbagliato collocazione: invece di entrare nella zona delle informazioni è entrato felicemente nella zona dei ricordi.


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